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Vis à Vis Fuoriluogo 27 . Edizioni Limiti inchiusi . 2024
Ivano Troisi
Opiemme

VIS à VIS Fuoriluogo 27 . Artists in Residence Project . 2024

Ivano Troisi / Lucito

LUCITO (CB) “Segni di Maggio”, 2024 . estratto dal testo di Tommaso Evangelista

Percepire il luogo e la sua storia, sentire le energie che questo trasmette, inizio respirando il luogo quasi vivendolo, procedo attraverso documentazione e analisi di fenomeni fisici e chimici che ho sentito e osservato durate i vari sopralluoghi. Una volta acquisiti e rielaborati passo alla fase manuale plasmando la materia[1].

Questo, in sintesi, è l’approccio all’opera per Ivano Troisi, il quale a Lucito, memore di altre esperienze simili, tra le quali evidenziamo Re-aCT, progetto del Centro Cecilia di Tito, ideato e curato da Amnesiac Arts in Basilicata, ha voluto approfondire il rituale arboreo Majje Dee la Defenze, significativo e raro rito molisano della primavera, insieme alla festa Maja di Acquaviva Collecroce e alla Pagliara di Fossalto. Si tratta di una celebrazione che trae le sue origini dal mondo contadino e dai cicli lavorativi agricoli e ha per protagonista, in onore del mese di maggio e in segno di rinascita e prosperità, la personificazione naturale di tale rinnovamento nelle vesti di un albero “abitato” e rivestito di fiori, portato in giro per il paese. L’opera Segni di Maggio, radicata nel contesto della tradizione ma aperta ad una interpretazione (attualizzazione) contemporanea, rappresenta una riuscita sintesi tra la memoria collettiva del luogo e la riflessione artistica attuale sul rapporto tra uomo e natura. In tale cornice, l’artista si immerge in una pratica ideativa che non si limita a osservare passivamente il paesaggio demoetnoantropologico, ma cerca di instaurare un dialogo profondo con esso. La sua scultura, inserita nella tradizione che celebra il ritorno della primavera e della fertilità, si confronta con l’identità locale attraverso un linguaggio visivo aggiornato e minimale che esplora i concetti di memoria, mutazione e adattamento.

Il “pagliaio di maggio,” adornato con fiori, piante e frutti, diventa nella lettura dell’artista un simbolo di resilienza e trasformazione. La scelta dei materiali riciclati, alcuni (vedi i cerchi di botte) anche molto antichi, riflettono il suo approccio biocompatibile e rispettoso dell’ambiente, dove ogni elemento utilizzato conserva una memoria storica e culturale. Troisi, attraverso il processo di raccolta e assemblaggio del suo pagliaio metallico, non solo riattualizza una pratica antica, ma invita anche a una riflessione più ampia sul nostro ruolo di custodi della tradizione e sull’impatto delle nostre azioni sul territorio. La figura dell’uomo all’interno del pagliaio, che si dondola a mo’ di ballo, può essere vista come una rappresentazione dell’equilibrio precario tra l’uomo e l’ambiente, figura carnascialesca dotata di forza rigeneratrice, in bilico tra presenza e annichilimento. In tal senso, l’opera dell’artista suggerisce che la natura, pur essendo soggetta alle trasformazioni indotte dall’uomo, mantiene una sua forza intrinseca e una capacità di adattamento. Il ballo all’interno del pagliaio -svelato metaforicamente dalla struttura aperta- diviene l’immagine della danza continua tra il cambiamento e la conservazione, tra il nuovo e l’antico, tra l’umano e il naturale.

[1] Ecosistemi in trasformazione. Intervista a Ivano Troisi di Tommaso Evangelista, in Espoarte 125, n. 2 2024

Ivano Troisi, Segni di Maggio, 2024
Opiemme, Meriggiare pallido e insorto, 2024

Opiemme / Carpinone

CARPINONE (IS), “Meriggiare pallido e insorto”, 2024 . estratto dal testo di Tommaso Evangelista . L’opera realizzata a e per Carpinone durante la residenza VIS à VIS Fuoriluogo 27 è un intervento visivo e poetico che si contraddistingue per la capacità di dialogare intimamente con il contesto naturale e culturale del luogo. Opiemme ha creato un percorso, apparentemente labirintico, che invita gli spettatori a camminare e osservare, proponendo una serie di riflessioni sulla bellezza, sull’esistenza e sulla scoperta del territorio attraverso un’interazione diretta con lo spazio storico e naturale.

Il progetto si caratterizza per l’utilizzo di scorci specifici del borgo molisano che vengono valorizzati attraverso l’integrazione della parola scritta con il paesaggio circostante. La poesia diviene uno strumento per riscoprire la natura e i suoi dettagli, con installazioni materiche o segniche (stencil soprattutto ma anche interventi su legno, stoffa e metallo) che conducono lo spettatore in un viaggio di riconfigurazione e riappropriazione del luogo. L’uso di testi volutamente sibillini, che possono essere interpretati e ricostruiti in modo personale da chi osserva, crea una connessione recondita tra l’arte e l’individuo, permettendo una lettura soggettiva e aperta, e sempre nuovi legami. È come vivere la poesia non solo su una bianca pagina bidimensionale ma a tre dimensioni, spostandosi autonomamente in una semiosfera che genera nuove informazioni-illuminazioni, oppure entrare in un sistema digitale ricco di collegamenti ipertestuali. L’opera così intesa è un itinerario complesso che apre alla pratica del camminare e dell’osservare, utilizza specifici angoli per valorizzare i luoghi e la parola, indirizza verso la riscoperta del contesto, dischiude nessi e riappropriazioni ricercando un’idea di origine, autenticità e appartenenza. Svelando lentamente il legame con il luogo, oltre il tempo della festa, la scoperta della bellezza nel dettaglio dei segni determina tracce di un passaggio che ognuno può ricostruire nel senso e nello spazio. Si forma magicamente un panorama interiore che si sovrappone a quello reale e lo amplifica fornendo nuove chiavi di lettura. Da qui la frase che è divenuta anche titolo dell’opera, evidente omaggio a Montale, nel suo camminare osservando gli elementi più minuti della natura circostante, sondando una sorta di male di vivere, ma che qui si carica di una valenza di resistenza e contrasto, un insorgere per salvarsi nella restanza, nella volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. Non solo resilienti ma partigiani. In Meriggiare pallido e insorto si intreccia un’immagine poetica di quiete e ribellione, quasi un ossimoro che richiama alla mente le pause meditate e i momenti di lotta, come le bandiere che rappresentano ideali e battaglie. Ricorda che siamo natura, la più grande installazione del percorso, suggerisce un ritorno alle radici, alla consapevolezza che, nonostante le trasformazioni tecnologiche e industriali, siamo essenzialmente parte della natura. Il contrasto tra il ferro, simbolo di modernità e durezza, e la natura vista in trasparenza, con la sua fragilità e vitalità, crea un invito a riconoscere la nostra essenza naturale. La natura protegge e nasconde i ricordi evoca l’idea che la natura sia un custode della memoria, un luogo dove i ricordi si depositano, difesi ma anche occultati. Vi è un senso di protezione, ma anche di possibile oblio. Ciò che resta è ciò che cambia è invece un paradosso che sottolinea come il cambiamento sia l’unica costante, e ciò che rimane nel tempo è proprio ciò che si evolve. Nel complesso, queste e molte altre frasi individuabili dalla piantina, disegnano un paesaggio interiore ed esteriore che invita alla riflessione, alla connessione con la natura e alla consapevolezza della transitorietà della vita e dei suoi ricordi. 

 

Artists in Residence Project